
Fino a un paio d’anni fa, l’unico giro di valzer che conoscevo era quello che mi avevano insegnato durante la mia non memorabile carriera cestistica: una rotazione su se stessi in palleggio, da eseguire a profusione ad ogni allenamento, fino a coprire a zig zag tutto il campo e poi tornare indietro.
Il giro di valzer, quello vero, l’avrei sperimentato molto più tardi, in un imprevisto corso di ballo liscio che si teneva nella struttura sullo sfondo della foto, vicino al campetto.
In realtà, la differenza non era poi così evidente. Certo, nel basket si accompagnava una palla, e nel valzer una donna, ma per non perderla erano necessarie le stesse doti: coordinazione, economia dei movimenti, fluidità. Mai fare un passo di troppo, specie negli spostamenti laterali, e sviluppare il proprio senso del ritmo, che all’inizio è una questione mentale, e poi fisica.
C’era solo un aspetto che mi risultava indigesto: la posizione della schiena. Mentre nella pallacanestro si sta sempre inclinati in avanti, dando sfogo alla celebre “tripla minaccia” (palleggio, passaggio, tiro), nel valzer si deve invece rimanere impettiti, con le spalle larghe e il capo arretrato di conseguenza.
Non so se per il trascorso sportivo, o semplice incapacità, facevo una fatica terribile, e come tutte le posture non spontanee, dopo minuti di strenua concentrazione, la perdevo di colpo, pronto a partire in terzo tempo anziché ad intraprendere il programmato giro spin. In quei momenti, con ogni probabilità, devo essere sembrato assai più simile a un piccione in piazza San Marco che a un ballerino.
Tuttavia, era il prezzo da pagare: sapevo infatti che solo attraverso quelle difficoltà – nonché una serie pressoché infinita di sconfinamenti di pista, combinazioni mancate, perplessità cinetiche – sarebbe prima o poi giunto il motivo perfetto, danzato senza errori o imprecisioni, in cui ogni sforzo, tensione, limite si scioglie in una misteriosa, ma inesorabile, armonia.
Beh, è successo qualche volta. Ed è stata felicità pura.
Non si tratta di un caso, del resto: molti anni prima, pur di provarla, avevo accettato la stessa sfida. Solo che tenevo un pallone in mano e fissavo, sopra di me, la sagoma di un canestro.
Francesco Sarti
Note a bordo campo
Struttura: ferro
Fondo: cemento
Accesso: libero
Luogo: Favaro Veneto, via Triestina