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di Francesco Sarti
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A New York non esistono i tetti. Ci sono solo le sommità. I grattacieli sembrano calvi e, se finiscono, finiscono in uno slancio, che è poi il senso di una cuspide. Qualcuno di imprecisato, dall’alto (per forza dall’alto), ha deciso di piazzare su uno di questi un campo da basket. Motivo ignoto, se non che si gioca ovunque, ad ogni livello, basta provarci.
Le misure sono contenute, manca il centrocampo, ovviamente anche il tetto, il canestro non sembra nemmeno così lontano dalle pendici delle pareti, tanto che viene da chiedersi cosa succede su un tiro troppo lungo. Se il pallone s’impenna e con qualche rimbalzo sulle travi cade di sotto. Come la prendono i taxi? Come la prende Manhattan?
Non ci si accorge di nulla. Senz’altro. Lo skyline lo vedi e basta, non hai bisogno di toccarlo perché ci sei dentro. Appiccicato al vetro, mentre consumi lo sguardo sulla gloria di Midtown, che campeggia rigogliosa sul resto dei parallelepipedi, delle strade, dell’acqua tutta intorno.
Sei all’ultimo piano del nuovo WTC e ti chiedi chi corre su quel campo, che rumore fa il rimbalzo, chi è così fortunato da poter dire: io c’ero. C’ero e non mi ha visto nessuno, mentre segnavo sulla Grande Mela.
Ma resti così, senza risposta, perché non parli il linguaggio dell’altezza, dei piani sovrapposti, dei palazzi smaccati che non si siedono mai.
Qui devi volare per giocare a basket.
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Note a bordo campo
Struttura: ferro
Fondo: forse cemento
Accesso: privato / esclusivo
Luogo: New York, World Trade Center
(foto di Alvise Varagnolo)